Un approccio consapevole alla tavola, partendo da noi e dalle nostre diverse energie
Lo sapete che i disturbi del comportamento alimentare sono uno dei primi campanellini di allarme nel sistema sanitario? L’obesità tra i bambini è un fenomeno dilagante e studi alla mano hanno ormai da diverso tempo confermato che il cibo, per le popolazioni occidentali, dei paesi industrializzati, “evoluti”, più che essere un “piacere”, soprattutto negli ultimi tempi è diventato fonte e ragione di preoccupazioni.
Eppure, in alcuni anni, la parola “cibo” è stata tra le più cerate su google e questo la dice sicuramente lunga su quanto sia un argomento importante per tutti quanti noi. Se è vero il detto, “basta che se ne parli”, possiamo confermare che sia un tema che scotta, che ci riguarda, che ci cattura.
Se mangiare, fino a qualche tempo fa era considerata una delle esperienze umane più piacevoli, spesso associata, paragonata, abbinata… anche alla sessualità (non a caso), oggi è una delle cause di sofferenza e disagio più diffuse.
Perché?
Cosa ha portato questa attività umana, alla base della nostra vita, così come il dormire, il respirare… ad essere così difficile da gestire? Qualcuno potrebbe dire che… “l’eccesso” ci ha portati a questo. E’ l’abbondanza di risorse, di cibo, di ingredienti, di facilità all’acquisto… che ci ha portati a questo risultato. Qualcun altro potrebbe invece affermare che… “è la fame” che ci portati qui. Non avere sufficiente disponibilità economica, non avere un adeguato stipendio… con i prezzi che si alzano e la vita che si fa sempre più cara, diminuisce la disponibilità economica e ci si deve accontentare. Lo sanno tutti che per mangiare bene occorrono più soldi, no?
Benissimo. E’ tutto vero. Come contraddire chi afferma queste due tesi. Polari, eppure, entrambe, assolutamente veritiere. Espressione di uno spaccato di realtà che coesiste in questo momento storico. Due facce della stessa medaglia.
Eppure, in questo contesto, aumentano le richieste di farsi seguire da uno specialista. Sempre più persone si rivolgono a personal trainer, coach, nutrizionisti, dietologi, per trovare la strada verso l’equilibrio, il benessere, la dieta ideale, la forma perfetta.
La forma/il peso sono altri due argomenti molto interessanti in questo momento storico.
Sapete che le parole hanno un significato. Come degli scultori, ogni giorno, ogni volta che comunichiamo con gli altri, oltre che a noi stessi, diamo forma al mondo, alla nostra vita, al contesto in cui viviamo. Con meticolosa attenzione togliamo o aggiungiamo il superfluo, esprimiamo ciò che è importante o lo nascondiamo sotto cumoli di frasi, immagini, paragoni, critiche, giudizi.
…e così, piuttosto che rivolgersi a noi stessi parlando di come stiamo / o non stiamo bene con noi, sentendoci, ascoltando il corpo, le emozioni che si muovono… ci rivolgiamo all’esterno: alla bilancia, allo specchio, al professionista di turno… aspettando che ci misuri la massa grassa/magra e ci dica se stiamo o non stiamo bene. Come se quel numero, quel dato, quella risposta… sia ciò che noi stavamo aspettando. La verità o il verdetto, dopo il quale cambieremo il nostro stile di vita, inizieremo la dieta, cominceremo una nuova fase. Magari aspettando lunedì.
…e se invece provassimo da subito, fin dall’aperitivo che ci prenderemo questa sera, dal prossimo pasto… a cambiare la prospettiva.
Provate ora, se vi va… a chiudere tutti quanti voi gli occhi.
Rilassiamo il corpo, portiamo l’attenzione sul respiro… e con il tempo che ci occorre, ognuno con il proprio tempo, senza alcun giudizio, proviamo a ripercorrere mentalmente gli ultimi due, tre pasti che abbiamo fatto. Cerchiamo di ricordare in quale contesto, situazione… li abbiamo consumati. Dove eravamo, con chi eravamo. Cosa abbiamo mangiato? In quale misura? Ricordiamo i piatti? Le ricette? …le sensazioni fisiche ad ogni boccone? …e le emozioni? Cosa abbiamo provato quando abbiamo messo in bocca il primo boccone? …e al secondo? Come potremmo descrivere le esperienze che abbiamo riportato alla memoria? Abbiamo mangiato per nutrirci, per saziare una fame fisica in questi ultimi pasti… oppure abbiamo mangiato per abitudine, per riflesso, per consuetudine, per convivialità, per senso del dovere, per colmare un vuoto emotivo? Ora, qualunque cosa sia emersa da questo lavoro di osservazione, il senso non è giudicarci, dunque, proviamo a mettere da parte le eventuali critiche che possono piano piano affacciarsi alla nostra consapevolezza… e manteniamo l’impegno a stare con questa esperienza. Come se fosse un punto di partenza, del materiale dal quale, se vogliamo, possiamo partire per iniziare un viaggio. Dentro e fuori di noi.
Cosa è emerso?
Intanto vi ringrazio per esservi fidati di me ed esservi fatti guidare durante questa esperienza. Cosa avete osservato? Quali riflessioni sono emerse?
Perché il cibo è una via verso il benessere e la crescita personale, insieme, ovviamente alla cucina e al mangiare?
Noi siamo ciò che mangiamo e non ci nutriamo di solo cibo.
E non è una frase fatta o un insieme di parole che suonano bene. Noi fisicamente siamo fatti del cibo che mangiamo, le cellule sono fatte del nostro cibo, i nervi, i neuroni, i neurotrasmettitori… sono fatti del cibo che mangiamo. L’energia che si muove dentro di noi, proviene dal cibo di cui ci nutriamo. Le emozioni che avvertiamo, sono frutto di quello che assorbiamo. Anche attraverso gli alimenti. Siamo immersi in energia più o meno rarefatta. Assorbiamo e scambiamo con l’esterno, energia più o meno rarefatta. Pensiamo ai nostri escrementi che diventano cibo per qualcun altro.
Tutto è interconnesso. Noi siamo interconnessi.
E allora? Ritornare a noi e ad un’alimentazione adatta a noi e al nostro stile di vita, modo di essere, momento presente… è un modo per prendersi cura del nostro benessere. Di tornare ad essere presenti, consapevoli, radicati. Mangiare può essere un’autentica palestra di vita.
Pensate a quante abilità richiede: fare la spesa, scegliere cosa cucinare, dosare gli ingredienti, gestire i tempi, saper seguire un processo, limitare gli scarti, gestire le risorse, fare fronti a problemi improvvisi, saper trasformare le emozioni che si muovono… relazionarsi con noi stessi, con gli altri, con coloro che si siedono alla nostra tavola o incontriamo al ristorante.
Per non parlare di come, mangiare, possa essere un’opportunità costante, almeno tre volte al giorno, per ricordare a noi stessi che siamo vivi. Che respiriamo. Che tutto questo non è scontato.
All’interno del percorso sf-AMIAMOCI che è un ciclo di cinque incontri sui quattro livelli di alimentazione e sul modo con il quale ci rapportiamo al cibo nel quotidiano, la maggior parte dei partecipanti, si stupisce sempre quando presento il Livello spirituale con il quale mangiamo. Eppure… Noi ci accostiamo alla tavola anche attraverso quella dimensione. In modo più o meno consapevole. Il punto non è se siamo spirituali o meno. Ognuno di noi ha una sua dimensione spirituale. Il punto è… ne siamo coscienti?
Ogni giorno possiamo, se vogliamo, ri-scoprire le nostre quattro dimensioni.
Quando incontrai Franca Errani, colei che portò il Voice Dialogue in Italia, Counselor e Coach, fondatrice della scuola Innerteam… lei aveva già scritto un testo “A tavola con gli dei”… libro al quale mancava una parte importante in questa parte del mondo: la relazione con il mondo dionisiaco. Così decidemmo di lavorare insieme, di nuovo… a quel testo… e integrarlo. Aggiungemmo ricette, abbinamenti e considerazioni interessanti alla luce delle recenti ricerche che sono state fatte in ambito alimentare.
Nella psicologia archetipica di Jung, lui introdusse un concetto che negli anni si è rivelato prezioso per spiegare alcuni fenomeni della psiche umana: l’inconscio collettivo e la presenza degli archetipi.
Descrivere, spiegare gli archetipi non è facile… per loro natura gli archetipi sono afferrabili solo intuitivamente e dunque, a loro occorre accostarvisi chiedendo alla nostra parte più razionale e scettica, di accogliere l’idea che ce ne possa essere un’altra, più sensibile e analogica.
Nella storia degli archetipi, a loro si è giunti attraverso il materiale onirico, le favole, i miti, i deliri dei pazienti psicotici… e a loro dobbiamo la conoscenza di un materiale universale presente fin dai tempi più remoti.
Così come il corpo umano è costituito da un insieme di organi, ciascuno con una sua storia evolutiva, così la psiche ha una parte straordinariamente antica che la costituisce e che dunque è alla base della nostra mente.
Nel concreto, in maniera un po’ più “pratica”, potremmo dire che, dentro ognuno di noi, alla base della nostra mente, vi sono delle energie che risuonano con alcune caratteristiche. Il loro insieme lo possiamo vedere espresso, racchiuso, rappresentato, da alcuni personaggi. Ed ecco che in ognuno di noi esiste una parte rappresentata da Afrodite, da Ermes, da Saturno, da Dioniso, da Estia…e così via.
Il rapporto con il cibo e con noi stessi lo potremmo dunque definire come un dialogo da intessere e, allo stesso tempo, un viaggio erotico, da Eros, il dio greco che porta con sé la spinta vitale, creativa, l’aspirazione verso il bello. Eros è il primo archetipo con il quale potremmo entrare in relazione. Secondo un mito, nacque in principio insieme a Tartaro e a Gea… mentre secondo un’altra versione, lui era il figlio di Afrodite e Ares. Rappresentato con un bambino piccolo con arco, frecce e un po’ impudente… in realtà è anche lo stesso Eros del mito Amore e Psiche. Con lui entriamo in contatto con una parte molto importante di noi: le nostre radici, chi noi siamo.
…e se con Eros sperimentiamo la nostra spinta vitale, quella che ci fa uscire dal grembo materno, quella che ci fa rincorrere la nostra felicità, individuando obiettivi e strategie da inseguire per realizzarli, nel nostro viaggio potremmo pensare di fare l’incontro di altri due archetipi particolarmente significativi: Saturno o Crono e Afrodite o Venere.
Se Afrodite è la dea della bellezza, della seduzione, della sensualità, Saturno è colui che ci ricorda la nostra sopravvivenza, la struttura, lo scheletro, il metodo, la critica. Sana e non.
Perché ho riportato queste due divinità? Saturno è colui che quando siamo a dieta viene spessissimo tirato in ballo. La sua energia “essenziale”, scheletrica, metodica è fondamentale quando vogliamo “imporci di seguire qualcosa”. Ma cosa accade quando diamo a questa parte un eccessivo spazio nella nostra vita? Magari relegando in uno sgabuzzino Afrodite? Che perdiamo di vista il piacere nello stare a tavola, nel mangiare, nel prenderci cura di noi. Quando siamo eccessivamente “saturnini”, siamo grigi, asettici, e questo, a lungo andare, ci priva della gioia vitale. A volte ci spegniamo. Altre volte, quelle più frequenti, per fortuna, ci ribelliamo. Avete presente quando vi state imponendo di fare una dieta eccessivamente rigida e poi vi concedete uno sgarro? Difficilmente si tratterà di una pizza margherita o di un pacchetto di patatine, vero? Il più delle volte ci concediamo tutto. Tutto quello che ci sembra essere vagamente interessante.
“Tanto stiamo sgarrando”.
E se invece integrassimo la nostra parte metodica ed essenziale con un pizzico di Afrodite? Se condissimo con un po’ di bellezza le nostre tavole, stessimo più attenti alla piacevolezza del pasto, piuttosto che alla sua essenzialità… non pensate che potremmo migliorare la nostra relazione con la tavola, con la cucina, con la nostra alimentazione ed anche con noi stessi?
Molte delle nostre dinamiche disfunzionali nel quotidiano, come a tavola, dipendono dalla nostra poca consapevolezza. Di chi siamo, cosa pensiamo, cosa proviamo. E dalla scarsa familiarità che abbiamo con la gestione della scomodità. Non sopportiamo stare male, a disagio. Abbiamo perso la capacità di saperci adattare. Ed anche di saper sentire cosa si può trovare in quell’intervallo di tempo dall’aver sperimentato lo stare scomodi e quello subito prima di muoverci. Il cibo e il mangiare consapevolmente vogliono dire anche questo: scoprire cosa si nasconde nel constatare di sentire un vuoto, nell’esplorare il senso di fame.
I sensi di fame (sono nove in realtà). Nell’introdurre ogni volta, ad ogni pasto, qualcosa di diverso.
Occorre avvertire la mancanza per distinguere di cosa abbiamo veramente bisogno.
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