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Il rispetto che manca

Ieri pomeriggio, a Francavilla al Mare, si è tenuto il quarto incontro del percorso sulla genitorialità “Genitori in crescita”, offerto dall’Associazione Orizzonte ODV nell’ambito del progetto “Idee per crescere”.

Se vuoi approfondire i dettagli dell’iniziativa, puoi cliccare QUI.

Il tema dell’incontro era l’importanza dell’autorevolezza – piuttosto che dell’autoritarismo – e si è riflettuto su come sia difficile fermarsi e portare consapevolezza sui propri pensieri, emozioni e azioni. Soprattutto quando si è genitori, o adulti in generale, e ci si trova di fronte a bambini o adolescenti che ci provocano, disubbidiscono, rispondono male. In queste situazioni, mantenere la calma per rispondere invece di reagire è una sfida. A volte sembra addirittura impossibile.

Ma cosa scatta in noi quando perdiamo la pazienza?

Quali dinamiche ci portano a perdere il controllo e a intervenire impulsivamente? E quali potrebbero essere, invece, quelle strategie che ci aiuterebbero a rispondere in modo più funzionale ed efficace?

Queste riflessioni sono universali e applicabili non solo ai genitori, ma a tutti noi. Come discusso in precedenti incontri, siamo spesso guidati dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni in modo inconsapevole, seguendo uno schema che possiamo rappresentare con un triangolo equilatero: pensieri, emozioni e azioni. Quando uno dei vertici del triangolo è attivato, spesso innesca una reazione a catena. Immagina un domino: ogni tassello che cade attiva quello successivo. Lo stesso accade nelle nostre interazioni: ogni nostra azione provoca un pensiero nell’altra persona, che porta a sua volta a un’emozione e a un’ulteriore azione.

In modo schematico, l'immagine rappresenta di come il Triangolo della consapevolezza di ognuno di noi sia profondamente connesso a quello degli altri.

Diventare più consapevoli nelle nostre giornate e nelle nostre relazioni significa interrompere questo automatismo. Prova, per un momento, a pensare a una situazione tipica: stai discutendo con qualcuno, l’altra persona alza la voce (azione), tu pensi che ti stia mancando di rispetto (pensiero), senti salire la rabbia (emozione), rispondi anche tu alzando la voce (azione). Così facendo, si attiva un “pilota automatico” che ci fa reagire, affidandoci alle vecchie dinamiche di causa-effetto. Ma possiamo scegliere come rispondere, invece di reagire, valutando consapevolmente la situazione e come potrebbe evolversi.

Quando ci rapportiamo agli altri, e in particolare ai figli, possiamo adottare diversi stili, quello autorevole è una delle possibilità: un equilibrio di fermezza e calore in cui la relazione si basa sul rispetto reciproco e una comunicazione costante e aperta. Questo non significa esercitare controllo, ma costruire una base solida per una crescita sana e rispettosa.

Se non hai ben chiaro di cosa stia parlando, essere autorevoli, ad esempio, significa stabilire confini chiari con gentilezza, come nel caso in cui, da genitore ti trovi a dover rispondere con fermezza e calma alle difficoltà scolastiche di tuo figlio, accompagnandolo senza punirlo ma ricordando l’importanza di fare il proprio meglio.

Ma cosa significa veramente la parola “rispetto”?

Un tempo si credeva che i figli dovessero rispettare i genitori e gli adulti per il solo fatto di essere tali e, nelle realtà più patriarcali, c’era una gerarchia rigida alla quale fare riferimento dove, il potere lo si deteneva non in base all’esperienza, alle competenze, alla saggezza, ma sulla base dell’anzianità.

Oggi che tutti ci teniamo a definirci più moderni, pensiamo erroneamente che l’equilibrio si ottenga mettendo sullo stesso piano i bambini, i giovani e gli adulti. Ma è questo il rispetto? Autorizzare nostro figlio a rivolgersi a noi a voce alta con parole poco gentili, è forse una dimostrazione di emancipazione?

Se pensiamo all’etimologia della parola rispetto, essa deriva dal latino respectus, da respicere: guardare indietro. Rispetto è, dunque, il fermarsi un istante e voltarsi. Anche se procediamo in avanti, verso il futuro, il rispetto ci invita a un momento di pausa e riflessione. Attraverso l’educazione continua a sapersi fermare, ascoltare e connettere con ciò che abbiamo lasciato dietro di noi, che potremmo lasciare al nostro passaggio o che hanno seminato le persone che abbiamo intorno, siamo invitati a prendere atto di tutto quel bagaglio che  ognuno porta con sé e distribuisce in ogni scambio relazionale: sentimenti, pensieri e valori.

Insegnare il rispetto e portarlo nel mondo significa dunque fare i conti con tutto quello che ogni persona rappresenta: la sua storia, la sua esperienza.

Ricordarsi di tutto questo ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcuno, tenerlo a mente quando si conversa o si discute, significa non soltanto ascoltare delle parole, osservare dei gesti… ma dare il giusto significato a quello che accade in ogni istante; contestualizzare le situazioni. Secondo il nostro e l’altrui vissuto.

Come fare a portare il rispetto lì dove manca?

Se ti stai chiedendo come si fa a fare tutto ciò… ancora una volta, la parola “magica” è consapevolezza. Quando diventiamo consapevoli dei nostri pensieri, delle emozioni che si muovono e delle azioni che compiamo, ogni volta scegliamo come contribuire attivamente alla qualità delle nostre relazioni, costruendo un ambiente sicuro – per noi e per gli altri – basato sul rispetto e su un’accoglienza che va al di là dell’anagrafica o del ruolo.

Tutti siamo in fondo – o in principio 😊 – meritevoli di amore.

Nei prossimi giorni, se ti va, mi piacerebbe che tu ponessi la tua attenzione a come la consapevolezza può migliorare i tuoi scambi comunicativi e la qualità delle tue relazioni. Prendi una situazione in cui hai scelto consapevolmente come rispondere, anziché reagire. Cosa è successo? Come ti sei sentit*?

A volte può accadere che le nostre relazioni più care: quelle con i figli, il partner o i genitori, non siano le più semplici con le quali fare esperienza. Tenendo a mente che la consapevolezza è una qualità che possiamo portare anche a lavoro o con gli amici, sentit* liber* di fare pratica come e quando ti sembra di essere più seren*. Soprattutto all’inizio, può essere facilitante esercitarci in situazioni meno “emotivamente attivanti”.

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